Storia della Rocca d’Ajello dagli inizi ad oggi
Pubblicato da Elisabetta Vitalini on / 0 Comments
LE ORIGINI – PERCIVALLE DORIA DISTRUGGE CAMERINO
Nel 1259 re Manfredi invia nella Marca il capitano Percivalle Doria che, assoggettate molte città, trova una dura opposizione da parte dei camerti. Da sempre guelfa, Camerino sembrava inespugnabile per via della sua posizione rialzata e per la maestosità delle sue mura. Fildesmido da Mogliano, signore di San Severino, sposa la causa sveva giurando fedeltà a Manfredi per la riconquista della Marca. A San Severino istituisce un forte esercito, ospitando Percivalle Doria ed Enrico da Ventimiglia, vicari di Manfredi, impegnati nella faticosa conquista di Camerino.
I camerti sono assediati nella città e decidono di inviare Ranieri de Baschi, gran feudatario e capo della fazione ghibellina, a parlamentare con Percivalle Doria convinti di strappare un accordo onorevole ma questi concorda con il nemico l’apertura della porta nord-orientale delle mura per la notte del 12 agosto 1259. La soldataglia irrompe nella città immersa nel sonno, la saccheggia e la mette a ferro e fuoco fino a raderla quasi al suolo. La cassettina d’argento contenente le reliquie di San Venanzio fu trafugata e portata in dono a Re Manfredi come segno del successo ottenuto.
La nobiltà di parte guelfa, fra cui Gentile da Varano, è costretta a fuggire attraverso un buco nelle mura che conduceva fuori Camerino (oggi è Via Morrotto) e a rifugiarsi nei castelli del contado e delle città guelfe vicine, lasciando Camerino nelle mani dei ghibellini.
LA RICONQUISTA DI CAMERINO
Alcuni camerti fuggiti si erano rifugiati a Sefro, qui Gentile da Varano raduna i superstiti sotto un potente esercito messo insieme con l’aiuto del Papa e delle città guelfe e nel 1261 riesce a riconquistare Camerino. Assume quindi il ruolo di primo cittadino e con prospettive di dominio colloca la nuova dimora familiare nei pressi della cattedrale. È in questo momento che il valoroso Gentile pone le fondamenta della potente casata dei Da Varano che per tre secoli portò la città ai massimi splendori economici e artistici. Anche le reliquie di San Venanzio torneranno in città nel 1268 grazie all’intercessione di papa Clemente IV.
NASCITA E STORIA DELLA ROCCA D’AJELLO
Passati gli Svevi di Percivalle Doria, fra il 1260 e il 1280 Gentile I da Varano, che tende al dominio di Camerino, inizia la costruzione di due torri collegate da una galleria seminterrata. Nasce così la Rocca d’Ajello, il cui nome deriva forse dalla parola “agellus” (campicello). Erano torri di avvistamento, sicuramente molto più alte di quanto non siano attualmente, da cui si effettuavano collegamenti ottici con altre fortezze dello scacchiere e si controllava il vicino fiume Potenza, la conca del Palente e la gola che conduceva a torre Beregna, detta anche “Troncapassi”. Le due unità fortificate erano collegate da una galleria seminterrata (l’attuale Scuderia Varano) ed essendo costruite a distanza ravvicinata, sottoponevano l’eventuale attaccante a tiro incrociato nell’area sorvegliata in comune.
Nel 1382 Giovanni da Varano detto “Spaccaferro”, per contrastare le mire espansionistiche di Matelica e San Severino, realizzò una linea difensiva che si estendeva per circa 12 chilometri, da Torre Beregna, crollata in tempi recenti, alle bocche di Pioraco. Ne facevano parte le due torri di Rocca d’Ajello, Torre del Parco (detta anche “Salvum me fac”, “Torre dei Bilancioni” o “Torre del Ponte” in quanto difendeva il ponte sul fiume Potenza), il castello di Lanciano (trasformato in splendida villa con grande parco da Giovanna Malatesta, sposa di Giulio Cesare Varano, alla fine del sec. XV) e la torre Porta di Ferro a Pioraco, non più esistente. Le difese della linea erano costituite da fosse, terrapieni e da una sorta di cavalli di frisia la cui realizzazione richiedeva una grande quantità di alberi: da qui il nome di “Tagliata” o “Intagliata”. La “Descriptio Marchiae” del Cardinale Egidio Albornoz (1356) tra i castelli e le ville della città di Camerino elenca: “Castrum Agelli” o “Villa Agelli”.
A Giovanni da Varano (1377) si deve l’inizio della trasformazione della fortezza, che sarà portata a compimento nel 1475 da Giulio Cesare da Varano, il più importante personaggio della dinastia, le cui iniziali figurano in un frammento di affresco ritrovato nella Sala d’Armi. Viene aggiunto il cosiddetto “palatium”, creando quindi un complesso fortificato a pianta trapezoidale adibito anche ad abitazione.
A. Conti, nella sua guida di Camerino del 1872, parla di motivi decorativi del palatium di Rocca d’Ajello, descrivendoli simili a quelli del castello di Beldiletto e raffiguranti pere e tralci. Nel testamento di Rodolfo III (1418) vengono ricordate le torri circondate da alcune case. Nel diploma di investitura di Paolo II a Giulio Cesare da Varano (1468) troviamo: “Arcem Agelli”. Nell’inventario dei beni dei Varano fatto redigere nel 1502 da Cesare Borgia, impadronitosi dello stato di Camerino, Ajello è definito “Villa con Rocca”. Si trova nel “Terzero di Sossanta” ed è così segnalata: “Agello è villa et ha la rocca et boni habitazioni per signori et possessioni ha fochi n.22”. Nel 1515 figura fra le tredici rocche del contado di Camerino citate nella bolla di investitura di Leone X a Giovanni Maria da Varano.
Nel 1545, dopo la fine della signoria dei Varano e la rinuncia di Ottavio Farnese al ducato, lo Stato di Camerino entra sotto il dominio della Chiesa e viene diviso in 100 comunità dipendenti da tre vicariati. La Rocca d’Ajello decadde come tutte le altre fortezze. Lo Stato della Chiesa la cedette in enfiteusi all’Orfanatrofio di Camerino e a varie famiglie fra cui i Massei e i Bruschetti . Nella seconda metà dell’Ottocento fu acquistata da Ortenzio Vitalini, ai cui discendenti tuttora appartiene.
LA ROCCA D’AJELLO OGGI
LE SALE MEDIEVALI E LA CORTE INTERNA
L’attuale aspetto della costruzione è frutto di una serie di trasformazioni dovute soprattutto ai crolli causati dai terremoti, fra cui quello disastroso a fine ‘700. L’antica struttura della fortezza è tuttora ben visibile ai livelli più bassi. Al piano terra, a livello del giardino, un vasto ambiente dalla volta a botte mostra sul fondo gli strati di roccia su cui poggia la costruzione. All’epoca dei Varano, era la scuderia della guarnigione: tutto un lato è occupato da una serie di nicchie che servivano da mangiatoie per i cavalli. Era questo il passaggio seminterrato che collegava le due torri.
Ancora più in basso troviamo una serie di cellette scavate in parte nella roccia e sormontate da piccole volte a crociera, adibite anticamente a celle per i prigionieri e in seguito usate per mantenere in fresco cibi e vino.
Attraverso un grottone con volta a botte, si passa al livello superiore, la grande Sala d’Armi, ove sono stati ritrovati pezzi di affreschi quattrocenteschi con decorazioni geometriche e con le iniziali intrecciate CV, un vero logo ante litteram di Giulio Cesare Varano. Anche qui volta a botte in pietra arenaria e muri di grande spessore, a prova d’arma da fuoco. A questo livello si trova pure la cisterna per la raccolta delle acque piovane dai tetti, scavata nella roccia e collegata ad un pozzo tuttora visibile nella cucina del primo piano.
Notevole il cortile con pozzo centrale, su cui si apre la porta originaria del castello, un tempo tutelata da ponte levatoio. L’arco del ponte si trova sull’attuale rampa di accesso al castello e si può vedere in una foto storica in uno dei salotti del primo piano.
IL PIANO NOBILE
Salendo le scale che portano al piano nobile ci si trova davanti a un grande mobile ottocentesco intagliato su cui poggia una quattrocentesca Madonna con Bambino in terracotta policroma toscana. La particolarità dell’opera è di essere stata rubata e ritrovata dopo 4 anni dai Carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Artistico di Roma. Si passa poi in un grande salone quadrato con soffitto decorato da grandi tele settecentesche a soggetto mitologico. Sulla destra un grandissimo pannello cinese del ‘700 dipinto su carta illustra scene di vita alla corte imperiale. Su un’altra parete due grandi ritratti di antenati piemontesi.
I tre salottini del piano nobile ospitano molte opere di Francesco Vitalini, pittore e incisore, nato a Fiordimonte nel 1865 e autore di un trattato sulle varie tecniche di incisione (“L’incisione su metallo”, Roma, 1904). Soggetti preferiti dei suoi acquerelli, quadri a olio e delle raffinat
e incisioni colorate sulla lastra sono Roma e la campagna romana, le colline marchigiane, il Bosforo e i Balcani, i paesaggi alpini. Proprio nelle Dolomiti trovò tragica morte nel 1905, a soli quarant’anni, cadendo nel burrone di Gravasecca vicino ad Auronzo, al ritorno da un’ascensione solitaria. Il primo salotto, quello del pianoforte, è dominato da un grande ritratto di Francesco Vitalini opera di Camillo Innocenti (1871-1961).
Nella Galleria si trovano i ritratti di Cesare Borgia e di Santa Camilla Battista Varano nata a Camerino il 9 aprile 1458. Figlia naturale di Giulio Cesare da Varano e della nobildonna Cecchina di Mastro Iacopo, venne formata alle lettere, alla musica, all’arte, alla lingua latina e alla cultura umanistica. Ricevette inoltre una profonda educazione religiosa da parte della madre adottiva Giovanna Malatesta (1443-1511) dei signori di Rimini, già terziaria francescana e sposa legittima di Giulio Cesare da Varano. Nel 1481 entra nel Monastero delle Sorelle Povere di Santa Chiara a Urbino, dove segue l’originaria regola di Santa Chiara prendendo il nome religioso di suor Battista. Mistica e contemplativa, scrisse molti trattati di argomento religioso: il più noto e conosciuto è “I dolori mentali di Gesù”, composto dall’agosto al 13 settembre 1488 e dedicato al suo padre spirituale fra Pietro da Mogliano. Fu proclamata Santa da papa Benedetto XVI il 17 ottobre 2010.Sempre nella Galleria un grande ritratto di Caterina Sforza e un curioso carrettino del ‘700 dove sembra venisse attaccato un grosso cane o una capretta che portavano a spasso un bambino seduto sul seggiolino.
La Camera da Pranzo è dominata da un imponente camino grigio sovrastato da uno stemma Varano in pietra caratterizzato dai cosiddetti “vari”. Termine araldico, il varo o vaio riproduce la pelliccia dello scoiattolo russo petit-gris (Sciurus vulgaris varius) dal ventre bianco ed il dorso grigio-azzurro. Lo stemma è costituito da file di campanelle allineate che sono appunto i vari ed è sormontato da un animale fantastico detto cane marino, figura araldica avente muso di pesce e corpo di cane utilizzato come cimiero negli stemmi.
Al muro 4 nature morte: 1 rappresentante frutta, verdure, cacciagione e un gatto, un’altra alzate di frutta e le due più piccole trionfi di fiori.
Attraversando il cosiddetto “office”, dove si trovano un grande mobile laccato verde e oro con cristalleria e oggetti vari e una vetrina di porcellane, si arriva alla cucina con imponente camino e i vecchi fornelli a carbonella. Interessante il pozzo collegato all’antica cisterna che raccoglieva l’acqua piovana dei tetti.
La torre principale ha uno studio centrale tappezzato di seta rossa su cui affacciano le camere da letto. In quella più grande troviamo delle importanti opere di Francesco Vitalini: un’enorme tela rappresentante un bosco di faggi e 5 quadri ad olio di grandi dimensioni con vedute delle Dolomiti.
LA CHIESA DI SAN BIAGIO
Ai piedi della Rocca di Ajello con posizione dominante sull’intera valle si trova la chiesa di San Biagio. Di antichissima fondazione, appartenne all’Abbazia umbra di Sassovivo almeno fino al principio del XIV secolo. Al di sotto dell’attuale presbiterio sono visibili tracce della primitiva costruzione, risalente al XII secolo. Nel 1154 un documento attesta che la chiesa era intitolata a Santa Maria e San Biagio e fu donata all’abbazia di Sassovivo di Foligno. Nelle “Rationes Decimarum” del 1300 è annotato che il cappellano Vanni Morici pagava 36 soldi.
Nel XV secolo fu ricostruita una nuova chiesa che nel 1799 venne danneggiata dal terremoto. Una lapide fissata in chiesa ci racconta che venne nuovamente edificata dal canonico Pietro Cruciani.
L’edificio è allineato sull’asse est-ovest con leggero spostamento della facciata verso nord. L’ingresso è rivolto a ovest e affaccia su uno spiazzo erboso contenuto da un muro che degrada sul giardino sottostante. La facciata in pietra ha profilo a capanna. Il portale è realizzato in laterizio con timpano apicale. In alto è inserita una finestra termale con centinatura eseguita in mattoni.
L’affresco absidale, datato 1523, è opera di un pittore della scuola di Girolamo di Giovanni. Vi sono rappresentati, ai piedi del Cristo Crocifisso, Maria, Giovanni e il Vescovo San Biagio.
La chiesa è purtroppo inagibile a causa del sisma del 2016.